Ci sono diverse persone che mi hanno chiesto se è disponibile una soluzione per fare caldo gratis o con poca energia.
In effetti, il riscaldamento è tra gli impieghi più dispendiosi dell’energia elettrica. Paradossalmente è anche quello più elementare, perché, per quanto concerne l’applicazione, è semplicemente una resistenza che dissipa energia, trasformandola in calore. Punto, nulla di più.
Oggi, tuttavia, è accettabile che si possano consumare centinaia, se non oltre il migliaio di Watt, per riscaldare casa con l’elettricità. Solo che oggi non lo è più per molti portafogli.
Qui vedremo se si ci si può scaldare, per esempio, con 100 Watt.
Avvertenze
In questo post le componenti in gioco sono calore e corrente alternata. Per tanto, la replica dovrebbe fatta con la competenza, l’attenzione e la responsabilità necessaria a non farsi male, o comunque a non fare danni di alcuni tipo. Declino ogni responsabilità per ogni replica, o variazioni di questa, che portino ad incidenti, danni, inconvenienti e/o infortuni, non ritenendomi responsabile della superficialità o della stupidità altrui.
Come mi è saltato in mente
Lampadina alogena di 20W. Non più grande una moneta, può riscaldarsi in pochissimo tempo (al punto che mi ci sono ustionato).
L’idea, contrariamente a quanto possiate credere, mi è venuta in un agosto decisamente molto estivo, quando per fare dei test col carico, non essendo più disponibili commercialmente lampadine ad incandescenza, ripiegai su delle lampadine alogene da 20 Watt e 12V, apparentemente piccole e innocue. Nel test, della durata di un minuto, ne illuminai una. Finito il test, la presi dal portalampade e… mi ustionai due dita. Niente di grave, naturalmente, però capii che tanto calore doveva essere sfruttato.
Rimasi stupito da quanto calore era stato prodotto da una lampadina così piccola e in così poco tempo. Ne parlai col mio mentore, Franco Montefuscoli, il quale, a prescindere dal fatto che se n’era occupato già in passato, fece un ulteriore passo avanti.
Non trovando momentaneamente il modello che ho utilizzato, acquistò delle lampadine alogene da 220V e 400W e, curioso come sempre, cercò di vedere che effetto facevano a 12V e 24V. A 220V naturalmente no, osservarle direttamente in piena luminosità è effettivamente pericoloso per la vista.
Mentre a 12V non succede praticamente nulla, a 24V già si illuminano di una luce rossiccia e fanno calore.
Successivamente abbiamo provato anche a 48V, ed emanano davvero un buon calore. Ma con due inconvenienti: la luce a 48V comincia ad essere fastidiosa e inoltre questa tensione non è più sicura, mentre 24Volts in alternata sono sicuri.
A questo punto abbiamo convenuto su una via di mezzo, 36V, reputandola come ideale in quanto compromesso tra una luce ancora non invadente, ed una emissione di calore già buona, rimanendo con un livello di sicurezza altrettanto buono.
…ma le stufe alogene esistono già…
Ovviamente l’omino sentezioso potrebbe affermare che le stufe alogene sono la cosa più comune che esiste. Anzi sono le stufe meno costose (perfino Franco stesso ne ha comprata una a meno di 20 euro, potete vederla anche in foto) e tra le più performanti.
Già… peccato che queste stufe abbiano consumi di 400, 800 fino a 1200W (quest’ultima opzione è talmente potente che in poco tempo può portare una camera ad un caldo tropicale). Ma la questione è proprio questa: superare il Kilowatt per il riscaldamento è ormai insostenibile per molti italiani e pure l’ecologia non ci guadagna. Per contro, abbiamo misurato il cos-fi: è di 0.99 in tutte e tre le opzioni. Ed è l’unica buona notizia: se non altro potenza attiva e potenza apparente collimano e la bolletta risulterà senza sorprese – oltre quelle che vi aspettereste da consumi del genere. Tuttavia, i lettori più attenti di questo blog sanno già che dietro un cosfi vicino ad 1, c’è una ragione diverso.
Il nostro obiettivo
Quindi a questo punto ci siamo prefissati l’obiettivo più semplice di poter riscaldare un’area limitata nel giro di un’ora consumando 100 Watt. Nella casa di Montefuscoli è il tavolo del salone, nella mia è il bagno (già protagonista di una precedente avventura sperimentale) 🙂 . Lampade e alimentazione, più o meno uguali. Il tutto, cercando di mantenere sempre il cos-fi a 0.99.
Riscaldarsi con l’infrarosso
La mia personale implementazione della stufa alogena. Il Wattmetro segna tra i 99 e i 102 Watt. Potete notare l’uso di un foglio di alluminio che riflette e impedisce di scaldare inutilmente il muro.
Queste lampade, sottoalimentate, tendono ad emettere raggi infrarossi, quindi calore. Tuttavia, contrariamente ad un classico termosifone, ho trovato il calore irradiato più facile da gestire e si può evitare che si disperda al muro a cui è accostato ponendo un materiale riflettente (un banale foglio di alluminio) dietro le lampade. Sarebbe stato ancora meglio utilizzare uno specchio e metterci dietro un pannello di Styrodur, ma al momento lascio così. Comunque, gli infrarossi sono calore… ma qui si possono riflettere come luce, solo che nel nostro caso la vediamo come tale solo in parte. E la luce si può riflettere ed evitare che il calore venga assurdamente dissipato nei muri, e peggio ancora sotto le finestre, come stranamente si sceglie di fare con i classici termosifoni. Invece gli infrarossi si possono riflettere, aumentando il rendimento.
Sicuramente una ulteriore ottimizzazione.
Tuttavia, abbiamo anche notato che l’aria circostante la stufa tende a scaldarsi lo stesso, dal momento che il vetro delle lampade alogene si riscalda notevolmente (e io ne so qualcosa…). Franco, tenendo conto della nozione risaputa che l’aria calda tende a salire, ha ritenuto un’ottimizzazione l’allineamento delle lampade per orizzontale, come nella foto sottostante, piuttosto che per verticale, come ho fatto io – in barba al modo classico di costruire questi modelli di stufa – proprio perché una parte del calore, invece di distribuirsi nell’ambiente, andava a riversarsi sulla lampada sovrastante, cosa del tutto insensata.
L’uso di specchiare i raggi nel retro tuttavia è ancora valida, in quanto pure in questo caso è inutile riscaldare il piano del pavimento o del tavolo come già i muri.
Altra precauzione, valida anche per le stufe alogene commerciali: non ponete oggetti troppo vicini alla fonte: a parte i potenziali danni, questi fanno ombra e impediscono agli infrarossi di irradiarsi in modo efficiente.
Collegamento parallelo o in serie?
Collegamento in serie
Implementazione con collegamento in serie di Franco Montefuscoli. Ogni lampada è alimentata con 27,5 Volts. In termini di calore, tuttavia abbiamo visto più conveniente l’alimentazione a 36V in parallelo di 4 lampade.
Dovendo lavorare in condizione di sottoalimentazione, viene ovvio pensare ad un collegamento in parallelo. I vantaggi in parte sono già noti: la tensione si sceglie con un trasformatore, e le lampade messe in parallelo possono funzionare anche indipendentemente.
Ma Franco mi ha steso per l’ennesima volta, con un’ulteriore trovata: il collegamento in serie è vantaggioso perché non ci sono costi e dissipazione che l’uso di un trasformatore comporta.
Gli svantaggi però sono molto importanti: oltre a quello noto che se si fulmina (per quanto difficile, in questo caso, vista la sottoalimentazione) una lampada, smette di funzionare tutto l’apparato, c’è quello della sicurezza, dal momento che in gioco c’è direttamente la tensione a 220 Volts. Inoltre non c’è possibilità di regolare i consumi.
Nell’implementazione di Franco, il migliore compromesso è stato quello di usare 8 lampade da 400W, così che ogni lampada abbia 220V/8 cioè 27,5 Volts. Il Wattmetro ha misurato 133 Watt con cos-fi 0.99. Il caldo che irradia c’è ma non è invadente, tanto che può lasciarlo sul suo tavolo. Comunque non l’ha soddisfatto, perché la “scommessa” è con 100 Watt e non con 133, inoltre con 36V, 4 lampade e un collegamento in parallelo irradia maggiore calore.
Collegamento in parallelo
Come già detto, per la connessione in parallelo occorre un trasformatore, in quanto l’illuminazione piena assorbirebbe 400W per ogni elemento e farebbe una luce da illuminare un palazzo – con sicuri danni alla vista. Infine, consumerebbero come una stufa commerciale.
Quindi, per la tensione del trasformatore ne abbiamo già parlato: 36 Volts.
Per la potenza, deve fornire almeno 100Watt, in quanto questo è il limite che ci siamo dati, ma con la possibilità di sforare. Inoltre se sono 100 Watt precisi, tenderebbe a surriscaldarsi in tempi troppo brevi. Quindi ho scelto 200 Watt.
Ora veniamo al tipo di trasformatore: standard o toroidale? Meglio toroidale, più efficiente.
Dove l’ho acquistato: http://www.tme.eu/it/details/tts200_z230_36-36v/trasformatori-toroidali/breve-tufvassons/
Abbiamo provato anche un alimentatore digitale. Gli alimentatori digitali sono apprezzati in quanto tendono a dissipare di meno, rispetto a quelli classici che includono un trasformatore. Risultato: cos-fi .55. Praticamente per non dissipare quel 16% dei trasformatori, ogni watt consuma in bolletta per due. Potremmo avere anche sbagliato alimentatore… ma davvero si vende roba del genere???
Collegare il trasformatore toroidale
Collegamento del toroidale. Come abbiamo avuto modo di vedere, il collegamento non è sempre lo stesso. Quindi informatevi prima e siate cauti.
I toroidali in genere sono venduti con un ingresso per l’alternata e con due uscite. Nel nostro caso per 36V e 200W, vengono forniti due uscite da 36V di 100W ciascuna.
Per disporre i 200 Watt per intero ho collegato le due uscite in parallelo.
Nel mio test con 4 lampade il consumo è di 100W (con variazioni da 99 a 102 Watt). Alcuni possono obiettare che le lampade alogene in accensione assorbono molta energia. Può essere di certo vero se sono alimentate a 220V, ma qui sono sottoalimentate a solo 36 e il picco iniziale è di qualche watt in più nel primo istante.
Il test del trasformatore di Franco è stato meno fortunato. Le due uscite del trasformatore in parallelo erano in realtà in controfase. Nell’accensione, le due fasi sono andate in corto e poco ci mancava che si bruciasse, come minimo. Fortunatamente siamo stati abbastanza veloci da accorgercene ed evitare tutto questo.
Morale: per quanto possibile, informatevi prima dell’acquisto sul corretto collegamento, e comunque siate sempre molto cauti nel primo test.
Tuttavia, nel toroidale che ho adottato (quello in foto) il funzionamento è stabile e nel tempo si scalda pochissimo. Tuttavia l’ho poggiato su un pezzo di mattonella, così come ho fatto per la lampada, per evitare che il calore potesse danneggiare alla lunga il piano sottostante.
Questo sistema è efficace?
Un po’ per il fatto che il clima romano è più mite rispetto a molti altri posti, un po’ perché il freddo invernale deve ancora arrivare, ho dovuto attendere per un test un pochino serio. In effetti la vera scommessa di questo inverno è capire se sarà sufficiente o meno ed eventualmente con quali modifiche.
L’ondata di freddo arrivata a fine novembre mi è stata un pochino di aiuto, in quanto mi ha fatto scendere la temperatura della casa di qualche grado.
Nella foto sottostante, a finestre chiuse e senza il precedente uso di acqua calda o di asciugacapelli, il termometro digitale segnava questo.
I valori riportati, rispettivamente, sono:
– sensore interno 17.4 °C
– umidità 34%
– sensore esterno che è visibile, sospeso, in prossimità della stufa 15.2 °C.
A fianco, il wattmetro ancora inattivo.
Nella foto di sopra, è riportata la situazione dopo 33 minuti di riscaldamento, senza ugualmente avere usato acqua calda o asciugacapelli che avrebbero favorito migliori condizioni. Abbiamo quindi
– 19.4 °C percepiti dal sensore del termometro (+2°C),
– 34% di umidità (invariata),
– 33.3 gradi dal sensore vicino alla stufa (+18.1°C),
– 99.23 Watt di consumo e
– 33 minuti di utilizzo. Nota bene: a parte una maggiore luce ambientale, l’immagine l’ho ulteriormente schiarita per rendere la lettura del wattmetro più visibile.
Un po’ come ha fatto Montefuscoli, per tanto può essere efficace tenere una stufa di questo tipo vicino al proprio tavolo, ovviamente con tutte le cautele del caso. Ma non lo suggerirei mai, per come è attualmente costruito, di farlo ad un incompetente. Mentre per quanto riguarda me, avendolo testato per riscaldare il bagno, può essere efficace per piccoli ambienti soltanto col passare delle ore.
La nostra valutazione, al momento, è che per un prodotto di qualche efficacia si deve andare sui 200W, anche ottimizzandolo. Mentre l’effetto infrarosso a distanza rimane blando, il calore dei vetri delle lampade e attorno ad esse rimane quasi non sfruttato.
Rimane comunque la soddisfazione di costruire qualcosa “a misura” rispetto alle proprie esigenze e che in seguito si possa potenziare in modo agevole, aggiungendo/accendendo moduli rispetto alle proprie necessità e la disponibilità nei consumi e, per quanto possibile, ottimizzare ulteriormente.
Questo articolo è stato il più sofferto, finora, dell’intero blog. Ho dovuto modificare la bozza in questi mesi un’infinità di volte sia per le numerose prove, sia perché ogni volta ho dovuto ripensare le conclusioni. Inoltre volevo concludere con un successo, o almeno, come poi vedrete davvero, con una strada praticabile. Capire il problema è stato importante, ma come l’ho superato… non me l’aspettavo nemmeno io. Vi descriverò per tanto anche le prove andate a vuoto. Ma andiamo per ordine.
Comprendere il problema
Il mio primo approccio per trovare la soluzione è stato capire il problema. L’ostacolo tecnico della free energy l’ho descritto più volte come forza elettromotrice inversa o Back EMF, perché così si manifesta in un generatore. Dal punto di vista del segnale elettrico invece abbiamo quello che gli elettrotecnici chiamano fattore di potenza. Questo si può descrivere come:
Fattore di Potenza = Potenza attiva / Potenza apparente
Un wattmetro utilizzato in precedenti sperimentazioni. Il fattore di potenza è il numero indicato in basso a sinistra – qui espresso in percentuale.
dove
– la potenza attiva sono i Watt che escono effettivamente dal generatore
– la potenza apparente sono i Watt che in teoria il generatore produce senza nessun ostacolo.
Il risultato di questa divisione è un numero reale compreso tra 0 e 1 – ma qualche volta è indicato come una percentuale.
Riguardo il risultato:
1) Il fattore di potenza zero corrisponde al corto circuito: l’effetto sul generatore è quindi quello di un carico oltre a quello tollerabile (sovraccarico, appunto) che arriva al massimo rallentamento possibile per un generatore.
2) Il fattore di potenza 1, al contrario, corrisponde ad un dispositivo ideale, difficilmente riscontrabile nella realtà, che non ha influenza sul generatore.
3) Possiamo anche dedurre che un fattore di potenza vicino ad 1 corrisponde all’alimentazione di un dispositivo ad alta efficienza.
4) Analogamente un fattore di potenza vicino a 0 corrisponde ad un dispositivo a bassissima efficienza.
Il fattore di potenza è determinato dal cos(φ) oppure cos-fi, in cui φ (phi, appunto) è lo sfasamento della sinusoide della corrente alternata che esce dal generatore.
– Il fattore di potenza 0 corrisponde a un φ=0° o 180°, e quindi l’efficienza si abbassa quanto più si avvicina a questi valori, mentre
– il fattore di potenza 1 corrisponde a φ=90° o 270° (oppure -90°, se preferite) e i valori vicino ad essi corrispondono all’alta efficienza.
Come il problema prende forma
In questa sezione voglio mostrare in modo “audiovisuale” cosa significa un cos-fi basso, ovvero come opera la forza elettromotrice inversa (back emf). Prima però voglio mostrare i carichi che saranno utilizzati in questa sperimentazione.
Carichi utilizzati
Cluster di Supercondesatori Maxwell 16V da 58F
Quando si parla di supercondensatori commerciali, i Maxwell sono certamente tra i più noti. Questa è una versione pensata per un fissaggio comodo e rapido in cui, invece di dover badare a collegamenti scomodi e poco standard, i singoli elementi sono stati saldati, collegati direttamente in serie, incapsulati e forniti di fori di fissaggio alla base. Almeno i fori per il fissaggio con la vite potevano farli un po’ meglio, così come l’incapsulamento mi sembra ancora un po’ fragile.
A differenza delle batterie, 16 Volts sono necessari in quanto è meglio mantenere la carica al 75%-80% (12V sono appunto il 75% dei 16V forniti). Se ogni elemento saldato in serie è di 2,7V e 350F, elementi che ho perfino recensito, i valori reali dovrebbero essere 16,2V e 58,33F. Davvero è un caso poco frequente, nel commercio, vedere i valori dichiarati arrotondati per difetto. 😉
Per agevolare la sperimentazione ho fissato il cluster in una base e collegato a 3 coppie di boccole in parallelo, prevedendo un input, un’uscita e un voltmetro.
Questi supercondensatori sono una vecchia conoscenza, trattandosi dei primi che ho comprato. Nei circuiti elettronici, la grandezza di un Farad, dal punto di vista elettronico, è notevole – tanto che nei circuiti elettronici usualmente si ragiona con i microFarad o con grandezze ancora inferiori – figuriamoci 10F… Tuttavia, già con le primissime prove è subito evidente che, per finalità energetiche, queste grandezze in Farad sono una nullità.
Tuttavia ho recuperato questi elementi in quanto sono più facili da caricare rispetto a quelli di 58F e quindi, anche se con un’utilità più sperimentale che altro, ho deciso di ripescarli.
Questi supercondesatori sono di 2,5 V, per tanto 6 elementi collegati in serie sono 15V e 1,6F. 12V rappresentano l’80% della carica.
Assemblato il cluster, ho voluto provare ad aggiungere un voltmetro digitale, come misura aggiuntiva ai due tester della sperimentazione. Nonostante sia esteticamente accattivante, se volete un consiglio, lasciate perdere! Intanto il voltmetro funziona almeno da 2,5V in su, mentre in fase di carica, quando si attiva, non si inizializza sempre correttamente. Molto meglio mettere più boccole in parallelo e collegarci un multimetro, come nel manufatto del cluster dei Maxwell. Inoltre, alimentandosi con la stessa carica che misura fa perdere efficienza, anche se poca.
Per confronto, caricherò nello stesso modo anche un condensatore elettrolitico. Per i 12V, il catalogo degli elettrolitici più adatto è quello di 16V.
I più esperti noteranno che i condensatori da 10.000 μF sono piuttosto rari nei negozi di elettronica, e quindi si chiederanno come mai abbia scelto quella grandezza. Principalmente ho scelto un condensatore da 10.000 μF in quanto mi serviva un condesatore che col mio attuale generatore si potesse caricare in qualche secondo. Questo, perché il refresh dei multimetri è piuttosto lento (pochi Hertz) e una ricarica troppo rapida non mi darebbe un’idea nemmeno approssimativa dei tempi necessari.
Utilizzerò questo carico per il rifasamento e alla fine, proprio per l’esperimento più importante, in quanto col tipo di test richiesto c’è il rischio concreto di bruciare i supercondensatori. Mi accontenterò, per tanto, di un carico più semplice, al momento costituito appunto da un faretto led in continua da 12V e 5W
Caricamento dei supercondensatori Maxwell da 58 Farad
Di seguito, mostro attraverso un filmato come è fatta davvero la forza elettromotrice inversa e come mai costituisce un problema così importante sia per la free energy, sia per l’elettrotecnica in generale, anche se, per la verità, vi anticipo che c’è più da sentire che da vedere, a parte il multimetro.
Il filmato è composto da 4 parti:
1) i primi 42 secondi, in cui avvio il generatore
2) da 0:42 a 4:50 in cui carico i supercondesatori
3) da 4:50 a 5:11 in cui interrompo la carica
4) da 5:11 in poi spengo l’alimentatore.
Nel dettaglio:
Nella parte 1) il generatore prende velocità e accumula un po’ di effetto volano.
Nella parte 2) collego il supercondensatore al generatore. La frenata, come potete osservare, è abbastanza drastica e se giunge una prima carica, si deve all’effetto volano accumulato. La carica non solo avviene molto lentamente, ma oltretutto il motorino che muove il rotore assorbe 22W, mentre senza carico solo 15W. Quindi l’effetto del back-emf non consiste solo in una carica più lenta, e una diminuzione della tensione fornita, ma è conseguente anche un assorbimento maggiore. Il rendimento crolla e diventa irrisorio. Nei minuti successivi, potete notare che il rotore riacquista un po’ di velocità anche se è ancora sotto sforzo
Nella parte 3) interrompo la carica e mostro la ripresa della velocità del rotore.
Nella parte 4) semplicemente, disattivo il generatore.
Nella parte 3) e 4) potete anche notare il multimetro che mostra una dispersione nella tensione accumulata (da 2,05 a 2,04 a fine filmato), che segna l’inizio della dispersione della carica.
Caricamento dei supercondensatori Suntan da 1,6 Farad
Da 0:00 fino a 0:11. Fase di avvio.
Da 0:11 a 6:24 inizia la carica e, come per il precedente filmato, il generatore rallenta bruscamente. Di seguito con l’avanzare della carica giunge alla massima velocità intorno agli 8 volts e per poi rallentare di nuovo. Per il resto: il voltmetro embedded si attiva, ma mostra 0 Volts, dimostrando di non funzionare nemmeno a dovere, quindi, come ho già detto prima, che più che un aiuto, si è mostrato un autentico errore costruttivo.
A 6:24 interrompo la carica, raggiunti i 10V.
Come avete notato, più aumenta la carica, più questa avviene lentamente. Il raggiungimento di soli 10V avviene con una lentezza esasperante (e preferisco non procedere oltre), in quanto la forza elettromotrice inversa, in riaumento dagli 8 Volts in poi non cosente di raggiungere il risultato ottimale di una completa carica.
Caricamento di un condensatore elettrolitico da 10.000μF
Da 0:00 a 0:15, ripresa tagliata dell’attivazione del generatore
Da 0:15 a 0:25 tengo collegato il condensatore. A 0:15, nel momento del collegamento, si sente un breve impulso. In realtà, questo glitch è il solo effetto avvertibile della forza elettromotrice inversa. A 0:16 la carica ha oltrepassato i 11,6V. Tutto il resto del tempo è utilizzato per superare i 12V. Quindi, anche così, la maggior parte della carica avviene in pochi decimi di secondo ma, nonostante la capacità, non sono in grado di quantificare l’intervallo di tempo senza un oscilloscopio.
da 0:25 alla fine: interruzione della carica del condensatore e spegnimento.
Tentativi per risolvere il back emf: le strade sbagliate
Rifasamento
A questo punto, ci si aspetterebbe che tenti il rifasamento del sistema attraverso l’uso di condensatori non polarizzati messi in parallello al generatore. Cosa che, come avevo già accennato alla fine dell’anno scorso, non è andata a buon fine: al momento, invece di rifasarsi, sembra rallentare come in presenza di un carico aggiuntivo. Ho fatto diverse ipotesi in merito, ma finché non si esamina all’oscilloscopio cosa succede davvero, non posso giungere ad una vera conclusione. Come ho detto all’inizio, per trovare la soluzione, bisogna prima capire il problema.
Schema base del rifasamento. Il condensatore è non polarizzato.
Sul link successivo è mostrato sia lo schema del rifasamento monofase, presente anche qua a lato, sia il calcolo diretto per conoscere il valore del condensatore, fornito in microFarad. In questo modo, disponendo dei dati richiesti, tutti possono calcolarlo senza ricorrere a calcoli elettrici:
Per conoscere la capacità del condensatore non polarizzato adatto da interporre tra il generatore e il carico, bisogna conoscere, oltre alla tensione, alla frequenza e alla potenza apparente, il cos-fi di partenza, mentre quello di arrivo è, naturalmente, 1.
I condensatori NP utilizzati nella sperimentazione
Il perché non mi funziona a dovere è, tuttavia, ancora una questione in sospeso. Tengo presente che il test che avevo fatto è stato con una lampada a led 12V 5W (cos-fi=0.7) – quindi nulla a che vedere con una ricarica di supercondensatori che invece ha una situazione più complessa.
Per il momento ho selezionato queste due ipotesi, in quanto penso siano quelle più plausibili:
1) Il rifasamento funziona solo se il segnale prodotto è un’onda seno regolare. Nel mio caso potrebbe non esserlo e per tanto i condensatori che ricevono un segnale non puramente sinusoidale può darsi reagiscano in modo ancora più irregolare.
2) Il rifasamento può essere stato formulato anche in base al principi della termodinamica. Per un generatore alternato allora è probabile che si sottointenda la possibilità di rifasare solo una potenza apparente inferiore alla forza motrice convertita: nel nostro caso non si potrebbe rifasare una potenza apparente di 80W prodotta con una forza motrice 15W, ma in ottemperanza ai principi di conservazione dell’energia, possa essere possibile rifasare al massimo 15W. Il problema in questo caso sono io, di certo, che non sono un conservatore… 🙂
Rifasamento, batterie e supercondensatori
Come se non bastasse il problema ancora irrisolto, la questione si fa ancora più complessa quando si tratta di caricare degli accumulatori, invece di alimentare un carico fisso, come quello delle lampade.
Non ho testato la ricarica delle batterie, ma teniamo sempre presente che la differenza di caricare un condensatore (o un supercondensatore) scarico ed una batteria scarica è sostanziale:
– Un (super)condensatore scarico parte da V=0. Per tanto parte da un cos-fi più vicino allo 0, per avvicinarsi a 1 durante la carica – ma non a fine carica, come abbiamo visto.
– Una batteria scarica è considerata tale quando la tensione misurata in Volt scende al 90%. Per ricaricare una batteria da 12V devo partire dal 90% di 12V, quindi 10.8V. Allora, anche se l’effetto di rallentamento si nota, dovrebbe trattarsi di una situazione meno critica rispetto ai supercondensatori, anche se penso che il fattore di cos-fi sia ugualmente critico. Per contro, il caricamento, nonostante questo, è più lungo ma del resto la capacità di accumulo di una batteria è molto più elevato rispetto ai supercondensatori.
Il problema quindi è che al variare del cos-fi durante la ricarica, sarebbe necessario aumentare o diminuire la capacità dei condensatori non polarizzati in modo da adeguarli sempre al meglio rispetto allo sfasamento. E questa, già da sola, è un’impresa, che per giunta dovrei risolvere dopo aver compreso il motivo per cui mi rallenta invece di stabilizzarsi.
2. Resistenza a filo
Il dispositivo col cos-fi=1 non esiste. L’unico circuito possibile è una resistenza tale da dissipare l’energia sufficiente a far girare il generatore senza ostacoli di natura elettromagnetica. Potete capire, tuttavia, che un sistema del genere è alquanto limitato.
Ho voluto indagare però se una resistenza o più resistenze attivate al momento giusto, poste in serie, potevano essere utili ai fini di una ricarica efficiente.
Consideriamo in aggiunta che le resistenze ordinarie non sono fatte per supportare decine o centinaia di Watt, ma qualche watt al massimo, in quanto sono pensati per la microelettronica. Quelli pensati per l’elettrotecnica, possono supportare pure decine o centinaia di watt, ma costano pure, ognuno, decine di euro e nell’insieme avrebbe comportato una spesa significativa.
La soluzione che ho adottato
Resistenza a filo costruita artigianalmente
Per non aprire un mutuo solo per comprarmi delle resistenze (ma si può?), mi sono chiesto come erano fatte. Ebbene, resistenze di questo tipo si chiamano resistenze a filo, in quanto utilizzano l’impedenza di un’avvolgimento ad hoc. Con spirito di adattamento, per tanto ho usato del filo di rame ancora a disposizione creando degli avvolgimenti con impedenze sempre maggiori. Stesso risultato, quasi gratis.
Quando questa soluzione è funzionale e quando non lo è
Ho trovato che è una soluzione interessante per caricare dei supercondensatori da 0V senza avere una situazione vicina al corto circuito. Applicare almeno 20Ω in serie ad un supercondensatore scarico è un grande aiuto fino ai 2-3 volts, in quanto il back-emf è a livelli molto buoni e permette una ricarica più rapida. Tuttavia perde funzionalità al crescere della carica dei supercondensatori e bisogna diminuire la resistenza fino a circa metà carica, dove è la bisogna azzerare la resistenza. In quell’intervallo c’è il cos-fi più basso e purtoppo è anche il punto in cui questo approccio termina di essere fruttuoso.
Superata questa tensione, il generatore torna a frenare e bisogna chiaramente riaumentare la resistenza. Da questo punto in poi chiaramente fallisce l’approccio, in quanto la resistenza fa il suo lavoro dissipando energia, e quindi diminuendo sia Ampere che Volts e per tanto la carica non giunge al termine.
Un’ipotesi, invece, di utilizzo concreto
Abbiamo visto che l’uso delle resistenze a fine di ricarica come esperienza è stata fallimentare.
Tuttavia, attualmente l’overunity con cos-fi=1 la ipotezzerei in un solo contesto: proprio perché, come ho detto all’inizio, l’unica possibilità di riuscita è una resistenza sufficiente da raggiungere un cos-fi=1, con l’energia dissipata convertita in calore. Un esempio tipico di resistenza, in questo senso, è lo scaldabagno elettrico, appunto basato su una resistenza immersa in un serbatoio d’acqua e poco altro. Quindi una resistenza ed un generatore ad hoc potrebbero creare uno scaldabagno la cui richiesta di energia sia di molto inferiore a quella dei normali generatori di calore.
Forse il campo di utilizzo può essere un po’ limitato… ma pensateci un’attimo: quanta dell’energia che consumiamo è utilizzata per produrre calore? Un bel po’, direi.
3. L’approccio con i condensatori in continua
Non avendo raggiunto lo scopo di rifasare la corrente alternata con i condensatori NP, mi sono chiesto allora se fosse stato possibile ottenere lo stesso scopo con i condensatori elettrolitici nella corrente continua. Diciamo subito che non è possibile far agire i condensatori polarizzati come se fossero degli NP: il condensatore elettrolitico si carica, punto e basta. Non c’è la forza elettromotrice inversa presente, al contrario, degli accumulatori precedenti – salvo per una piccolissima frazione di secondo.
È possibile collegare il condesatore carico direttamente ai supercondensatori, ottenendo un effetto simile a quello dei classici vasi comunicanti – solo che è basato sugli elettroni, per cui il condensatore elettrolitico, il vaso piccolo, si scaricherà sul supercondensatore, il vaso grande, facendolo caricare di poco, mantenendo la tuttavia una pari tensione. Per questa ragione mi servirà ripetere l’azione di carica e scarica più volte per caricare i supercondensatori.
Come ho impostato il test
Il test consiste nel
1- Caricare il condensatore elettrolitico
2- Scaricare il condensatore elettrolitico sul supercondensatore
3- Ripetere i primi due punti fino ad una ricarica, almeno parziale, dei supercondensatori.
Mi serve, quindi, un circuito che alterni un collegamento all’altro. Per questa ragione ho scelto come switch un doppio switch, che ho boxato per darmi maggiori possibilità per eventuali sperimentazioni future.
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Di seguito, lo schema adottato:
Ho anche scelto di provare solo con i Suntan perché caricare 1,6F facendo lo switching a mano è umanamente più fattibile che caricarne 58.
Attraverso lo switch si può quindi alternare agevolmente la fase di carica con la fase di scarica.
Caricamento dei supercondensatori da 1,6F
Come impatto non è esaltante, lo so. Ma almeno è utile per delle valutazioni.
Nei test che ho realizzato, il successo è stato decisamente mediocre, in quanto col condensatore scarico ho avuto un risultato simile al test del condensatore di 10.000μF, solo moltiplicato ogni volta che caricavo il condensatore. Il back emf, per quanto istantaneo si faceva sentire ad ogni switch. È rimasta la difficoltà, tuttavia, di arrivare alla carica completa.
Efficienza da migliorare
È certo interessante vedere che, anche in inizio carica, la velocità del rotore si alteri di poco. Il back emf del condensatore un po’ si fa sentire, ma indubbiamente meno rispetto alla carica diretta dei supercaps. Tuttavia la vera partita si gioca tra i 10.8 e i 12V – là dove la carica in continua non riusciva ad arrivare nemmeno per effetto del back emf, appunto come avevo spiegato prima è l’intervallo della carica delle batterie e, soprattutto, dove opera la maggior parte degli inverter presenti in commercio, proprio perché sono pensati per operare con delle batterie, e non con un dispositivo basato su supercondensatori e per giunta overunity (o che almeno ci prova).
4. Convertitore Buck
Una variazione più sofisiticata del test fatto sopra è stato quello che ho fatto col convertitore buck.
Questa tipologia di circuito infatti utilizza un’idea simile al test precedente per regolare tensione, e nel caso di questo modello anche la corrente. Dalla pagina di wikipedia:
Il funzionamento del convertitore buck è semplice: tramite l’interruttore si connette l’induttore alla fonte di energia che così si carica di energia magnetica; scollegandolo esso si scarica sul carico.
Viene quindi ripresa l’idea di carico e scarico, ma con una frequenza più elevata e in maniera chiaramente più sofisticata che consente di regolare voltaggio e (in questo caso) amperaggio.
Questo mi faceva pensare non solo di avere tra le mani qualcosa di più agevole per il back-emf, ma se il funzionamento di base non fosse bastato, potevo comunque regolare V e A nei vari momenti della ricarica. Questo tuttavia non si è concretizzato e il back emf ha fatto il lavoro di sempre.
Può darsi si tratti del modello che ho scelto, in cui una semplice interfaccia con un display e due pulsanti pretende di regolare V e A, può darsi che la mia interpretazione del dispositivo sia erronea, ma rimane il fatto che con l’esperimento precedente ho ottenuto risultati migliori. Almeno più chiari, se non altro…
La strada giusta
Le extracorrenti
Questa parte dell’articolo segna un punto di svolta per queste ricerche, in quanto finalmente c’è un risultato positivo.
Ho sempre sostenuto che la free energy non si trova nell’ovvietà, perché ciò che è ovvio è già accettato o smentito da tempo. E infatti, se di free energy si tratta davvero, l’ho trovata nel contesto che mi sarei aspettato di meno: nella scintilla generata dal contatto a cui fa immediatamente seguito il corto circuito. Prima la scintilla che fornisce un’alto picco di energia, poi arriva appunto il cortocircuito col cos-fi=0 e il back emf massimo. E tutto si blocca come previsto. Il picco di energia è un fenomeno fisico noto come extracorrente. Visivamente le extracorrenti sono appunto visibili come scintille, elettronicamente sono misurabili come dei picchi di energia positiva e negativa più alti rispetto la tensione erogata, ma anche molto brevi. Inoltre non vanno confusi con i picchi di Lenz, che avvengono in un contesto differente.
Vedremo che è possibile ottenere l’extracorrente evitando il corto, basta che il contatto sia sufficientemente rapido.
È bene precisare che parlo del cortocircuito immediatamente prima del ponte a diodi, non dopo: dopo il raddrizzatorel’unica cosa che otterrei, oltre al blocco del generatore e al black-out del carico, sarebbe l’immediato scaricamento del condensatore che converte in continua. Di seguito, il setup utilizzato in questo esperimento:
Ho certamente tentato un setup con l’extracorrente in serie ad una delle due uscite del generatore. La prova era irrinunciabile, visto che il corto circuito è sempre la frazione di secondo dopo il contatto ed è la cosa di cui vorrei fare a meno per prima. Purtroppo, da quello che ho visto, il picco di energia in serie c’è ma è risultato veramente irrisorio (0.2V) e, almeno da quello che vedo in questo setup, non conviene.
Cosa m’immagino penso avvenga nella forma d’onda sottoposta ad una serie di contatti istantanei
Avvertenze
La sperimentazione si basa su voltaggi molto bassi (sotto i 10V). I picchi delle extracorrenti potrebbero essere significativamente più alti. In ogni caso, declino ogni responsabilità di repliche basate su più alte tensioni o replicate diversamente da quanto ho qui specificato e mostrato in questo post. Non mi ritengo, del resto, responsabile dell’idiozia altrui e dei danni che ne derivano da una replica sperimentale senza attenzione dedicata alla sicurezza.
La spazzola circolare è un dispositivo nato e pensato come parte di un sistema di rifinitura dei materiali metallici. Per tanto, farsi male con la spazzola circolare è molto facile perfino quando non è in rotazione e va usata la massima cautela e attenzione nell’avvicinarcisi con i contatti struscianti. Anche questo caso, non mi riterrò responsabile dei danni riportati dalla disattenzione di chi replica la sperimentazione.
Impostazione dell’esperimento
I terminali utilizzati nel video
Inizialmente farò vedere in cosa consiste un singolo impulso di extracorrente. Collego i due elettrodi (vedi foto a fianco) in parallelo all’uscita del generatore, prima che venga raddrizzata. Collego, come carico, un faretto dopo il raddrizzatore e il condensatore. Potete notare che l’ho puntato verso il tester e non verso la videocamera proprio per non permettere l’effetto di sovraesposizione – cioè per non mostrare una luce maggiore rispetto a quella effettiva. Lo punto invece sul multimetro. Il condensatore per appianare il segnale è di 450V e 470μF. Non conosco in origine il picco del segnale, e per tanto ho optato per una tensione supportata significativamente alta.
Avviato il generatore, fino a 8,5V in continua (il che significa circa 6V in alternata) faccio le seguenti prove:
1) [Video n.1] Creo un semplice cortocircuito. Per tanto ciò che si vede è una scintilla contemporaneamente ad un breve lampo della lampada collegata come carico in continua. Segue il classico blocco del generatore.
2) [Video n.1] Provo a fare un contatto sufficientemente rapido da evitare che il generatore si blocchi per il corto. Si, è possibile.
3) [Video n.2] Provo a strusciare i due terminali, approfittando della filettatura delle viti stesse, in modo da fare una serie di scintille. Tante scintille di seguito possono formare tante extracorrenti? Si, a patto che siano sufficientemente rapide.
4) [Video n.2] Per prolungare ulteriormente le scintille provo a strusciare un elettrodo avanti e indietro sull’altro. Nonostante la spettacolarità dei risultati, ci sono brevi rallentamenti del generatore dovuti all’inversione della direzione di strusciamento, segno che basta un solo attimo per il prolungamento del contatto, per creare un corto e di conseguenza un problema per il generatore.
Faccio notare che mentre con 8,5V il faretto si illumina appena, con le extracorrenti i lampi emessi sono istantanei ma caratterizzati da una luce molto più forte.
Passiamo quindi ad una seconda fase, in cui per cercare qualcosa che ruotasse insieme al rotore con i magneti che fosse in grado di fornire a dei contatti struscianti decine di contatti istantanei per ogni giro, ho optato per una spazzola d’acciaio con qualche adattamento per farlo girare insieme al rotore con i magneti. La spazzola di acciaio circolare è una soluzione relativamente durevole (ed economica) per fornire tanti contatti istantanei al momento al momento del contatto. In questo modo, ogni semionda prodotta può essere attraversata anche da decine di extracorrenti.
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Che usiate questa spazzola o meno, è indispensabile assicurarvi che ci sia conduttività tra il disco interno e le setole. Il perno centrale che ho realizzato è isolante per non rischiare che ci siano scariche sull’albero motore e quindi sul motore elettrico stesso.
I terminali utilizzati nel video successivo
Per evitare che l’elettrodo sulle setole di consumi troppo rapidamente, ho scelto una sezione di cavo più grosso. Il filo più piccolo invece struscia sul disco interno ed è soggetto ad una usura inferiore.
Il terzo e ultimo video mostra l’esperimento con questi elettrodi che fungono da contatto strusciante rispettivamente con la parte esterna e interna della spazzola in rotazione.
Come c’era da aspettarsi l’effetto delle scintille si ripete a scapito di un leggero rallentamento che rende il risultato un po’ meno eclatante, ma comunque sempre degno di nota. Anche in questo caso, l’energia fornita dal solo generatore non può spiegare l’aumento della luminosità.
Una possibile spiegazione al rallentamento
Eppure un treno d’impulsi così generati in linea di principio non dovrebbe rallentare il sistema. Il motivo è che la scintilla così generata crea dei picchi di energia irregolari, sia di segno negativo che positivo. Dal punto di vista induttivo, dovrebbero generare attrazione e repulsione in rapidissima successione e con un ampiezza degli impulsi di gran lunga inferiore rispetto la lunghezza d’onda della corrente alternata generata. Per tanto la rapida velocità dovrebbe rendere l’effetto di attrazione e repulsione abbastanza sfuggente di per sé stesso, mentre l’effetto volano del rotore nascondere completamente l’effetto. Questo per esempio è quello che succede nel secondo filmato, dove vengono strusciati gli elettrodi di acciaio. Per questo, se correttamente applicate, l’uso delle extracorrenti non dovrebbe incidere sull’andamento generatore, anche se si presentano più extracorrenti in una singola onda. Ad incidere potrebbe essere la sinusoide a basso voltaggio, comunque soggetto al back emf, unito all’attrito causato dal contatto degli elettrodi.
Anomalie
Nella produzione delle scintille, il sottoscritto si aspettava un’aumento della tensione, essendo le extracorrenti generalmente descritte come tali. Contrariamente a quello che mi aspettavo, l’aumento dato dal multimetro è sempre stato di circa 1 volt in più, mentre ad aumentare fortemente è stato l’amperaggio. Questa è stata una sorpresa piuttosto importante. Il motivo, credo, sia dipeso dagli avvolgimenti induttivi, per i quali ho favorito la produzione di corrente, piuttosto che della tensione. Rimane comunque il dubbio di quanto i multimetri siano in grado di riportare valori corretti – oltre che aggiornati con un refresh troppo basso in questo contesto.
Criticità e problemi da risolvere
Instabilità
Il motivo per cui non ho ricaricato i supercondensatori con questo sistema è l’irregolarità dei picchi che sono sia di corrente, sia di tensione, mentre con i supercondensatori devo avere la rigorosa sicurezza che la tensione sia al di sotto dei 15V. Il voltmetro in tensione indica sempre sotto i 10 Volt, ma a causa di picchi così veloci, e nonostante il condensatore presente, non sono neanche sicuro che sia la misura giusta. Che ci sia il picco di energia, lo rivela chiaramente il lampo della lampadina, ma quali siano i reali valori in gioco, non ne ho idea.
In questa fase, per tanto, vedo poco sicuro caricare un supercondensatore, ma anche una batteria, un inverter o qualsiasi dispositivo funzionante in continua. E credo che pure la vita del faretto si stia notevolmente accorciando.
Consumo degli elettrodi
Altro problema rilevante è la rapidità con cui gli elettrodi sono destinati a consumarsi, in quanto non solo soltanto contatti struscianti. La spazzola circolare, in fondo, fa il lavoro per cui è costruita: consumare materiale. A questo aggiungiamo l’usura delle scintille e capirete che come soluzione basta a malapena per il tempo della dimostrazione. L’unico vantaggio è la durevolezza della spazzola che finora non ho visto minimamente alterata.
Qualcuno mi dirà “ma ci sono le spazzole dei motorini elettrici!”. Toh, ma che bravi… intanto sono difficili da trovare, avendoli a mio tempo già cercati, poi ne servirebbero in gran numero perché devono coprire un’angolo giro, in fine potrebbero ancora avere, al pari degli elettrodi, il problema dell’usura dalle scintille in quanto non sono pensati per le supportare le extracorrenti in modo continuativo.
Maggiore energia consumata
Problemi dovuti sia all’attrito contatti struscianti sia alla spazzola non perfettamente allineata portano ad un consumo aumentato di 3W (da 15 a 18W)
Perplessità finali
L’ultima parte del post segna un punto di svolta delle ricerche. Non importa se l’overunity non è raggiunta, c’è un surplus di energia e la strada è ben percorribile. E se per ora la mancanza di un rendimento sopra il 100% e del famigerato “closed loop” mi evita avvoltoi intorno, tanto meglio. Anzi, fastidi in meno. Comunque salvate il capitolo sopra e scaricate i video, non si sa mai.
Tesla, col discorso delle extracorrenti aveva ragione, ma andava raggiunto là dove meno mi aspettavo, nella conseguenza illogica in cui qualunque elettrotecnico, per comprensibili motivi di sicurezza, addirittura evita queste condizioni. Io stesso, nella primissima stesura di questo post, avevo la tesi che la free energy fosse raggiungibile attraverso il raggiungimento del cos-fi=1, cosa che mi ha fatto perseguire le strade che ho descritto. L’ho invece trovato su cos-fi=0, o meglio, nell’extracorrente che immediatamente precede questa situazione.
Qualche replica onesta e fatta in modo competente (vedi il paragrafo “Avvertenze”), comunque, sarà benvenuta. Non mi farà sentire solo.
Capire come evitare i contatti struscianti credo che sia una questione fondamentale per migliorare il dispositivo. Trovare una soluzione che generi un contatto con una scintilla partendo da una bassa tensione e senza contatti può aprire la strada a nuovi e interessanti dispositivi. Ci si potrebbe spingere oltre, con un generatore motionless… facendo attenzioni alle correnti di ritorno dovute ad un funzionamento comunque a rischio di corto circuito, se non gestito bene.
La Testatika, il generatore di Kapanadze o molti altri dispositivi “spark-based”, potrebbero essere implementazioni più eleganti e sofisticate di questo accorgimento in cui
1) la generazione dell’alternata
2) la generazione delle extracorrenti
sono gestiti in modo più sofisticato ed elegante.
Questo blog nel 2015 ha superato i 10.000 contatti. Cifre ragguardevoli se mettiamo in conto che quest’anno ho fatto solo tre articoli, riferiti a tre sperimentazioni personali. Anche se avrei da dire su pezzi acquistati o meno, convegni, o anche sulla (dis)informazione che da troppo tempo aleggia intorno alla free energy, preferisco fare poche cose, ma fatte bene. Qualche sassolino dalle scarpe, tuttavia, lo riporterò in questo post. Tutti gli articoli hanno un costo in termini di tempo e spesso anche materiale, in quanto cerco di curare le sperimentazioni e i relativi scritti fino ad una qualità che possa soddisfarmi. Tutto ciò ha portato pure a qualche malinteso: qualcuno mi ha addirittura visto come un professore o addirittura come uno scienziato. A scanso di equivoci, sono un’appassionato che cerca di fare queste sperimentazioni nel modo migliore.
Qualche aggiornamento sul generatore
Come avevo promesso nel precedente articolo avrei dato qualche aggiornamento. Intanto l’avvolgimento da 0.5 mm non mi ha dato molte soddisfazioni, in quanto a 8.5V mi dava solo 1A potenziale. Poca roba, visto che cercavo almeno 10VA per avvolgimento. Così mi sono “rassegnato” ad adottare avvolgimenti da 0.8mm. Regolando la velocità del rotore fino ad ottenere 8.5V il risultato è stato 4.4A, pari a 37,4VA. Molto di più rispetto alle aspettative rispettando la velocità angolare, che per altro è quasi nei limiti del progetto iniziale (2600 rpm, circa 43 giri al secondo, ne volevo ottenere 40).
Per giunta, in realtà, non avevo fatto nemmeno in tempo a finire l’articolo precedente e lo slideshow già postato su youtube poco prima della pubblicazione aveva delle domande nei commenti.
Le richieste in realtà non mi sono chiarissime, ma traspare il fatto che c’è chi ha prodotto un esperimento simile ma ha avuto delle difficoltà nel collegare degli avvolgimenti insieme per produrre più energia, col risultato di rallentare il sistema anche senza alcun carico, a prescindere da quest’ultimo.
Intanto, posso dire come ho fatto, cosciente che questa domanda può essere la domanda di molti altri. Intanto gli avvolgimenti devono avere 4 caratteristiche:
1) Le armature degli avvolgimenti devo avere le stesse dimensioni.
2) Gli avvolgimenti devono avere ESATTAMENTE dello stesso diametro (quindi, per chi nel mondo reale riesce a contarle, lo stesso numero di spire)
3) Gli avvolgimenti devono avere la stessa impedenza in Ohm (cosa in teoria conseguenziale se si cerca di farli uguali, ma qui parliamo di un contesto artigianale…).
4) Devono essere collocati in modo da avere la stessa distanza dal rotore, in modo da avere la stessa identica tensione e lo stesso campo magnetico. Se non si fa così, il risultato è che una bobina scaricherà sull’altra e aumenterà il back-emf.
A questo si aggiunge il tipo di collegamento che faccio a coppie sul rotore.
La caratteristica che il ritengo importante è che gli avvolgimenti debbano avere verso opposto nella superficie di contatto: da un lato orario, dalla parte opposta antiorario. Anche i fili, per coerenza, devono avere il colore invertito.
I coils hanno polarità e versi di avvolgimento opposti. Messi l’uno di fronte all’altro, polo positivo e polo negativo sono rispettivamente a sinistra e a destra per entrambi i componenti. Non resta che collegarli in parallelo.
Il collegamento è dichiarato “anti-lenz”, ma analogamente a precedenti sperimentazioni, non mantiene molto di quanto promette il nome. Tuttavia, mi è sembrato essere maggiormente vantaggioso, in quanto unito ai precedenti accorgimenti, il collegamento parallelo, senza nessun carico non produce alcun tipo di rallentamento, e col carico un rallentamento meno evidente. Nulla di troppo nuovo sotto il sole, ma viste le domande che sono state poste, forse può essere ancora utile per qualcuno.
Qui di seguito un primo video – niente di eclatante.
A 0:16 mostro per un breve istante l’effetto del collegamento in corto: il rallentamento immediato del sistema. Dopo, invece, li collego in parallelo senza che subisca rallentamenti. Infine ci metto un carico di 5,5W (lampada a led) seguito dal collegamento di una seconda lampada.
I più attenti possono anche notare un leggero spostamento dovuto all’effetto giroscopico.
Ancora fuori fase
Questo mese ho anche lavorato con i condensatori non polarizzati per correggere la forza elettromotrice inversa, comunque presente anche se meglio gestita col summenzionato metodo, attraverso il rifasamento della sinusoide. Tuttavia, nonostante i calcoli, il rotore invece di girare più velocemente tendeva a rallentare ancora di più. Mentre sto scrivendo queste righe, sto cercando di capire cosa non va – oltre a valutare altre soluzioni. È probabile che le leggi sul rifasamento si basano su generatori con una coppia molto maggiore di quella che adotto io (ricordo che il motorino che utilizzo consuma 22W a 24V ed è pure sottoalimentato, quindi parliamo di cifre molto basse) e che per tanto è probabile che il sistema che uso sia troppo suscettibile a rallentamenti rispetto ai generatori tradizionali. Un’altra ipotesi è che la f.e.m. che ho costruito genera più Ampere (8.8, cioè 4.4A per ogni induttanza) che Volts (8.5) a 170Hz, quando in genere si pensa a sistemi di 220V, un amperaggio molto basso e il tutto a 50Hz, e in effetti come calcoli sono inusuali.
Per il momento non mi preoccupo di descrivere tutti i dettagli, in quanto vorrei occuparmene con più tempo con un post apposito, cercando di avanzare con i lavori.
Per concludere (per ora)
Ora, a prescindere dalla soluzione che adotterò, che sia il rifasamento con gli NP o no, c’è da mettere in chiaro un punto fondamentale: non è importante se il motore sia a spazzole o un motore brushless, che sia un sistema Bedini, oppure un Adams… se si riesce a gestire bene il fattore di potenza (o la forza elettromotrice inversa, fate voi), tutte queste soluzioni vanno potenzialmente più o meno bene (poi è chiaro che se ho cambiato setup dei motivi ci stavano pure), ma se il fattore di potenza è basso e non si conosce come rimediare, sono tutte fallimentari. Il problema vero e proprio non sta nel sistema di rotazione adottato.
Un nuovo pubblico
Il pubblico del blog inizialmente era per la maggior parte italiano, come ci si può aspettare per un’iniziativa in questa lingua, ed è stata una sorpresa vedere da agosto in poi crescere, nonostante tutto, il pubblico all’estero per ragioni che posso solo ipotizzare.
Vorrei, intanto, ringraziare dell’attenzione questo ragguardevole 30% di nuovo pubblico residente all’estero che è emerso in questi ultimi mesi. Di questa percentuale, mi ha sorpreso che la metà di questo mi legge dagli Stati Uniti, mentre il restante 15% dei lettori è sparso nel resto del mondo. Questo è un traguardo di tutto rispetto, se si considera che il blog è in lingua italiana (finora pure con qualche cadenza in romanesco) e di conseguenza, anche se non prevedo il cambio di lingua in inglese, sto cercando di renderlo più traducibile con Translator: per esempio il titolo del precedente articolo inizialmente sarebbe dovuto essere, in dialetto, “Arifamolo strano” e l’ho cambiato proprio per questa ragione.
Intanto, per il pubblico non-italiano: sentitevi liberi di postare commenti in inglese, in quanto per me non rappresenta un problema.
Magrav? O non Magrav? Questo è il problema…
In questi ultimi mesi, il dibattito sulla Keshe Foundation e il suo fondatore Mehran T. Keshe è virato sul Magrav Power Universal System. Questo dispositivo è in vendita, ma sono anche disponibili le specifiche. Forse, visto anche il prezzo, potrebbe essere di qualche aiuto capire se Keshe sia una fonte attendibile o meno, e se gli acquisti dei suoi dispositivi possano essere un investimento concreto o una perdita di tempo e denaro.
La storia della Keshe Foundation è lunga, complicata, fatta anche di sostenitori e detrattori, controversa e non si può spiegare in poche righe: inizia a Ninove, Belgio e dal 2014 continua in Italia – attualmente a Barletta.
La questione attuale è: il generatore che vende in questo momento funziona o no? Il suo acquisto è un investimento che avrà un suo ritorno?
Premetto due cose: non ho sperimentato e non ho fatto acquisti relativi alla tecnologia della fondazione in questione. Però il confronto è molto presente nelle pagine Facebook dedicate su cui si discutono sia chi non è d’accordo, sia chi questa tecnologia la sostiene.
Speravo che per la fine dell’anno si potessero tirare le somme su questo dispositivo e sulla Keshe Foundation in generale. Ci Provo.
I scettici su Keshe (vorrei proporre il termine keshettici –keskeptics in lingua inglese) stanno notevolmente aumentando. E non per qualche pregiudizio o preconcetto, ma dopo che numerosi sperimentatori hanno studiato le sue teorie e replicato i dispositivi basandosi sulle sue specifiche e indicazioni, le repliche positive di cui si ha notizia si contano sulla punta delle dita – ammesso e non concesso che un video su youtube o perfino un messaggio su facebook possa dimostrare la validità di un dispositivo. Io ho contato tre repliche positive, rispettivamente in Australia, Romania e l’isola di Aruba e nessuna in Italia. Non dispongo notizie di dispositivi in vendita (dal costo comunque sproporzionato rispetto al materiale impiegato e l’impegno che poi richiede per renderlo efficace) non abbiano dato ancora risultati positivi.
In quanto a Keshe vedo probabili due possibilità:
1) che sia un ricercatore con qualche intuizione valida ma portata avanti male, con un forte carisma accompagnato da una grande dote comunicativa, eccentrico, con una sproporzionata fede in se stesso (tanto da dichiararsi Messia… e non per scherzo o per modo di dire) e nelle sue teorie, propenso a frequenti revisioni e con pochi riscontri sperimentali, specie se paragonato a quello che ha promesso come energia illimitata, antigravità, salute e altro ancora. Ci troviamo nel 2016 che a malapena qualche replica riesce ad ottenere l’overunity.
2) che sia da lasciare perdere completamente – ipotesi per il quale vedo esserci sempre maggiori sostenitori. In quanto al dispositivo Magrav Power Universal System:
1) Non è da intendere come un prodotto di consumo, nel senso chel’alta cifra non corrisponde assolutamente ad un prodotto già pronto per l’uso, anzi richiede circa un mese di tempo in cui bisogna inserire dei carichi crescenti come descritto nelle specifiche.
2) Il risultato non è assolutamente garantito, in quanto dipende anche dalle “energie” presenti nell’ambiente (che K. chiama “plasma”), incluse le proprie energie. Quindi è inteso dallo stesso Keshe che il risultato dipenderà anche dal livello “energetico” delle stesse persone.
3) Per i primi due punti, sull’acquirente per tanto grava la maggior parte della responsabilità della riuscita del funzionamento del dispositivo. E come ho detto finora, i risultati positivi sono pochissimi. Per questo motivo non consiglio assolutamente l’acquisto, specie se la vostra intenzione è un investimento con un ritorno economico sicuro anche solo nel lungo termine. In quel caso la delusione sarebbe quasi certa.
Se ci sono evidenze contrarie, sono disposto a ricredermi. Ma rimane, confrontato con la rivoluzione planetaria che aveva promesso, un hype in piena regola.
Il furto del Motore di Franco Proietti
Due dei video più visti nel mio canale riguardano il motore di Franco Proietti. Quest’anno ho avuto la notizia del furto dei rotori. La cosa mi ha toccato particolarmente, non solo per l’interesse che avevano suscitato e non solo in rete, ma proprio perché è di qualcuno, tutto sommato, a me vicino. Per la verità non è nemmeno l’unica angheria che Proietti ha subito, ma è comunque quella più attinente a questo blog.
In linea di principio, un furto del genere non è solo un suo problema, ma è un rischio possibile per ogni ricercatore. Questo episodio, del resto, come è successo a lui potrebbe succedere ovunque, in tutto il mondo. Forse peggio. Per altro, come furto è avvenuto con rara destrezza: i ladri hanno superato due cancelli, di cui uno di un garage, entrato nel suo deposito dove teneva i dispositivi, con un’ulteriore porta da superare, il tutto senza che fosse scattato un solo allarme o senza avere lasciato traccia di una forzatura aggiuntiva.
Abbiamo discusso un po’ dei motivi che potevano esserci dietro. Ecco tre ipotesi:
1) I mandanti del furto volevano implementare l’overunity per loro le loro finalità (private o industriali che siano)
2) I mandanti volevano dare un avvertimento a Franco Proietti. Del tipo: “Datti una calmata. Se siamo entrati così facilmente, possiamo farti di tutto”. È l’ipotesi più accreditata dallo stesso Proietti.
3) Volevano dare un avvertimento agli sperimentatori free energy in generale, più o meno con lo stesso messaggio.
Di seguito, do il mio parere rispetto a queste tre ipotesi, anche se il titolo sottostante riassume già tutto.
Un buco nell’acqua
Qualunque sia il motivo del furto del motore non credo che i committenti abbiano beneficiato di alcun vantaggio diretto. Come ho già scritto sopra, il problema dell’alto rendimento non sta nel rotore, ma nella capacità di utilizzare l’energia prodotta in uscita. Il suo rotore al massimo ottimizza il risultato – dopotutto quello che ha costruito è stato un tamburo ben congegnato con dei magneti potenti ed una costruzione di una qualità quasi industriale, ma non contiene intrinsecamente la soluzione.
Quindi
1) se volevano rubare qualcosa di overunity, si sono trovati solo un pugno di mosche in mano a meno che abbiano idee precise su come implementare i rotori (ma se ce l’avessero avute davvero non ci sarebbe stata nemmeno l’esigenza di rubare alcunché) e Proietti non ha più potuto proseguire le sue ricerche in questa direzione: doppio danno, anzi triplo, dal momento che ora grava anche il reato penale del furto.
2) Se volevano avvertire Franco Proietti di non provare ulteriormente ad approfondire per trovare un dispositivo funzionante, è un gesto privo di senso: Franco nel 2010, quando ho girato i video, poteva essere considerato “avanti”, ma adesso ci sono centinaia di ricercatori come lui, anche più bravi e in tutto il mondo. Ci sono già le prime soluzioni commerciali, escludendo la Keshe Foundation (per quanto riportato nel precedente paragrafo), per lo più all’estero. Perché prendersela con lui? Non ha senso. Azione scriteriata e fuori tempo massimo.
3) Può essere, infine, inteso come un avvertimento alla comunità dei sperimentatori. Ma il mondo della free energy non è certo confinato nella piccola Italia omertosa come trent’anni fa. O meglio, può essere ancora vero in molte situazioni, ma nel contesto nazionale e internazionale un episodio del genere, o peggio di questo, forse può impaurire le persone, ma le fa arrabbiare pure di più e le attira ulteriormente, anche se in un contesto complottista, verso il mondo della free energy, incoraggiando ricerche analoghe. Lo ha dimostrato il tentativo di soppressione della fusione fredda il cui scenario è stato più vitale che mai. Buco nell’acqua, in più, risultato opposto alle intenzioni. Che ci sia una “cospirazione” intorno ad un certo tipo di ricerche è abbastanza evidente, solo che non è sempre così come si racconta. Possono esserci azioni plateali (licenziamenti, minacce o peggio), oppure nascoste (ricerche e scoperte messe nel cassetto per vari motivi), qualche volta vince l’indifferenza (proposte che vengono ignorate) o perfino legali (brevetti, militari…).
Forse sarebbe il momento di pensare a delle forme di tutela in questo campo… o no?
The Fake of the Year
Ribadisco come sempre che fare debunking non è la mia occupazione e, anzi, lo detesto pure un po’. Ritengo tuttavia che il mondo della sperimentazione privata, dell’attivismo (anche solo quello da tastiera) e della comunità della rete in generale dovrebbe essere quantomeno in grado di auto-correggersi e riconoscere l’informazione per lo più attendibile da quella che non lo è. Ma la rete per lo più non lo fa (e una parte non lo vuole nemmeno) per cui i debunker accrescono di importanza e autorevolezza in modo direttamente proporzionale alla quantità di informazione spazzatura che verificano.
Una notizia che è girata molto quest’anno e che è rimbalzata in molti siti di cattiva informazione è quella di Vladimir Putin come finanziatore di free energy, attraverso un progetto in realtà già abbandonato da tempo. E la notizia è già rimbalzata in più siti.
Penso che questa informazione fake è particolarmente pericolosa oltre che clamorosa, perché nel suo insieme unisce:
1) una notizia imprecisa
2) altre informazioni, ma false
3) un dispositivo elettrico mal compreso
4) un’aggiunta di propaganda politica a favore di uno specifico leader
Chiariamo punto per punto:
1) La notizia imprecisa:il sito di fact checking “Bufale un Tanto al Chilo“, anche se nel suo tipico stile, ha smontato parte della storia che comunque era di un anno prima. Sostanzialmente si parla della replica della torre di Wandercliff di Tesla che due fisici russi volevano ricostruire con una raccolta fondi in rete. Tale dispositivo non è stato però realizzato.
2) False informazioni: Al contrario è stata divulgata la notizia del dispositivo come esistente, completato e con i contributi del governo russo.
3) Un dispositivo elettrico mal capito. La trasmissione di energia con l’aria invece è tutt’altro che gratuita, ed è estremamente inefficiente per la semplice osservazione che l’energia che non viene trasformata finisce dispersa e in più porta al malfunzionamento e al danneggiamento delle apparecchiature a bassa tensione non adatte a funzionare con questi campi elettrici (primi tra tutti: i pacemaker), infine come elettrosmog fa danni alla salute umana, alla natura e all’ambiente – e forse questo è il vero motivo per cui Tesla non l’ha completato quello originale.
4) La propaganda politica. E veniamo un po’ alla novità della questione. La notizia che è stata aggiunta a quella già sconfessata in circolazione è il rilascio di questa tecnologia “free energy” da parte di Putin. La Russia, è bene notare, ha tra petrolio e gas le principali voci di esportazione, soprattutto attraverso l’azienda Gazprom. E la Gazprom è stata per la Russia sia una buona fonte di denaro e potere, tanto da essere la più importante compagnia Russa, sia, tuttora, un mezzo strategico per frenare l’Europa da intenzioni belliche attraverso la minaccia del taglio dei rifornimenti.Sarebbe, per tanto, estremamente controproducente che la Russia, spesso identificata univocamente con la persona di Vladimir Putin, rilasci una tecnologia che renderebbe superflui dei beni strategici di cui è produttore, esportatore e, attraverso il suo ferreo controllo, anche negoziatore della situazione internazionale.
Ognuno chiaramente ha le sue opinioni politiche sui vari leader. Ma credo che non ci sia niente di peggio che, con una situazione internazionale complicata, tesa e dannatamente reale già di per sé stessa, di spargere falsa informazione su risorse e politiche internazionali. Che nel caso di Putin, si tradurrebbero in propaganda basata su false aspettative.
Cosa vi devo dire?
Per i ladri di ricerche altrui, realizzatori di dispositivi venduti a prezzi spropositati che si presume funzionino solo se si è elevati, spargitori di notizie sulla free energy e politica false quanto pericolose, sapete cosa vi dico? Tanti auguri di buon 2016 ricco di successi e soddisfazioni. Purché fuori dalla biosfera, naturalmente… 🙂
Questa ricerca riprende il lavoro fatto e riassunto nell’articolo sul blog “o famo strano” scritto ormai un anno fa. Tuttavia, come capirete in questo e nei prossimi articoli, difficilmente mi sarei cimentato di nuovo in questa ricerca senza avere capito delle cose.
Come è andata a finire dal precedente esperimento
Alla fine dell’articolo ci sembrava di avere trovato la bobina di rame ideale per la free energy, “the perfect coil”. Tuttavia ci siamo resi conto che l’effetto del back-emf era era estremamente ridotto ma solo sul specifico carico che avevamo utilizzato. Quindi, una bobina specifica con un carico di 40W, costituito da una lampada a incandescenza, dava risultati completamente differenti cambiando la lampada con un bulbo di 60 watt o anche di 20. E non faceva solo meno luce, in entrambi i casi, ma proprio il rotore rallentava di più.
Non capii, sul momento, dove fosse l’errore, ma tra letture, discussioni e altro, avevo trovato un tassello del rebus.
In altre parole: la forza elettromotrice indotta, la sua frequenza, quell’avvolgimento specifico e la lampada a 40 watt a incandescenza si sono trovati in risonanza – o quasi.
Versione migliorata dell’avvolgimento da 110V. Il filo ottimale era di 0.14mm
Il problema della risonanza, tuttavia, è proprio quello che basta produrre delle variazioni, anche piccole, in uno dei parametri coinvolti per far saltare tutto “il miracolo” ed ottenere risultati di gran lunga peggiori. Molti dispositivi definiti a “energia gratuita”, tra cui il famoso QEG, funzionano col principio di risonanza. Tuttavia il problema di lavorare con la risonanza è proprio quello che bisogna trovare tutti i parametri precisi per raggiungere il risultato migliore. Questo è un lavoro che può essere perfino più faticoso dello stesso montaggio del dispositivo ed è per questo che la replica di molti apparecchi, di cui è stato dichiarato dare maggiore energia in uscita che in entrata, hanno esito negativo, perdono di credibilità e fanno gongolare chi non ci crede.
Sul momento, però, il puzzle non era completo e ci siamo dedicati ad altro.
Abbiamo provato a verificare le bobine “Zero Lenz”, e abbiamo visto che hanno meno lenz, ma anche meno produzione.
Due cose, invece, mi hanno spinto in una nuova direzione: il primo è stato l’esperimento del motore di Galileo Ferraris, nel dettaglio di come è stato creato lo sfasamento per la seconda fase, il secondo è stato riportato nel precedente articolo “M’illumino con poco” in cui, col wattmetro in mano, ho affrontato la questione del back-emf dal punto di vista del cos-fi (a prescindere dall’immancabile ispirazione del locale 🙂 ).
Come vedete, non tutti gli aspetti indicati hanno trovato spazio in un articolo apposito. Ma, alla fine, fanno parte di un percorso che, nel suo insieme, costituisce un esperienza.
Altri problemi
Dal punto di vista costruttivo, la sperimentazione precedente portava dei limiti.
Alimentatore
Il motore cc era alimentato con un alimetatore raddrizzato con 6, 12 e 24V. L’ultima misura non era utilizzabile, mentre i 6 volts con i condensatori potevano essere portati a poco piú di 8. Era chiara comunque l’impossibilità di raggiungere il numero di giri per uno specifico rendimento.
Motore cc
Due problemi: assorbimento della corrente elevato (diversi ampere), ed eccessiva tendenza a surriscaldarsi.
Avvolgimenti
L’uscita a 100v era sicuramente congeniale all’accensione di una lampada a incandescenza a corrente alternata, come l’esperimento precedente, ma non è adatto per poter caricare dei supercondensatori o delle batterie, visto che si usano 12 volts (o al massimo 24). Anche ricorrendo all’utilizzo di un’ulteriore trasformatore che riporti a dei voltaggi più bassi, oltre ad essere terribilmente scomodo, porta a delle ulteriori perdite di rendimento.
Magneti
I magneti a 2cm di diametro hanno fatto sicuramente il loro lavoro, ma buoni risultati si raggiungevano tra i 4800 e i 6000 rpm (cioè tra gli 80 e i 100 giri al secondo). Cifre un po’ alte che poi, col motorino a 12V, portavano ad elevati assorbimenti ecc…
Miglioramenti tecnici
Risolvere questi problemi richiede senza dubbio un po’ di cambiamenti.
1) Passaggio da un motore cc da 12 a 24V. Sarebbe meglio un brushless, ma i costi per un brushless ad hoc non sono trascurabili. Ma peggio ancora, sono i controller dei brushless quelli ancora più costosi.
Ho optato per un motore cc a 24V a spazzole dai costi ridotti. Anche il regolatore del motorino ha costi infinitamente più accessibili. Insieme sono un bel risparmio. Il difetto dei motori a spazzole è ancora una volta la loro tendenza a riscaldarsi. L’uso di un amperaggio inferiore insieme ad una potenza relativamente bassa (22W dichiarati) dovrebbero rendermi le cose meno difficili.
2) Pilotaggio col PWM. Per non essere limitato alle tensioni fornite dal trasformatore, avevo due scelte: un alimentatore a tensione variabile, oppure un PWM. L’alimentatore di tensione variabile può essere interessante per una più ampia gamma di sperimentazioni, non solo per un motorino elettrico. Tuttavia ha due problemi: ha costi relativamente alti (si, lo so, esistono anche quelli cinesi con costi più ragionevoli) e poi in caso di guasto (e il guasto prima o poi, arriva…) non è di facile riparazione. Il PWM invece è un dispositivo specifico per i motorini elettrici (o come avevo già accennato, ne esistono anche per regolare tradizionalmente la luce delle lampade LED), in quanto più che regolare la tensione, regola il duty-cycle, cioè la larghezza dell’impulso. Alla limitazione di questo uso, che si dovrebbe superare appianando il segnale con un banalissimo condensatore, c’è il vantaggio di un costo assai limitato. Anche in questo caso, trattandosi di un dispositivo basato su un integrato, in caso di guasti non è di facile riparazione, purtroppo. Dal momento che i costi sono esigui, in compenso la sostituzione completa non è particolarmente gravosa (salvo il fatto di ordinarla di nuovo) e, penso, si possano evitare la maggior parte dei problemi anteponendo un fusibile in input. Bassi costi e una relativa gestibilità mi hanno fatto optare per il PWM.
3) Adozione di magneti al neodimio di 3 cm. Si potrebbe pensare che usi magneti più grandi per ottenere un rendimento più elevato. Non è esattamente così. Se avete letto prima, velocità di 4.800 o di 6.000 giri al minuto sono davvero troppo alte. Personalmente non vorrei superare i 3.000 giri (o 50 giri al secondo) che sono velocità ancora alte, ma già più accettabili. I magneti al neodimio di 3 centimetri hanno una superficie all’incirca doppia rispetto i magneti al neodimio di 2. La superficie di un magnete da 2 cm, (PI = p greco) è pari a 1*PI cm², mentre la superficie di un magnete da 3 cm è 2,25*PI cm². Anche la forza di attrazione è doppia: la forza di attrazione, nel primo caso è di 11 Kg, mentre per i magneti che voglio adottare è di 20 Kg. Superficie più ampia e una forza di attrazione maggiore dovrebbero portare una forza elettromotrice indotta ad un minore numero di giri.
4) Avvolgimenti col filo da 0,5 mm. Il filo sottile, come si è visto dalla precedente sperimentazione è stato congeniale per un solo tipo di carico e uscivano 100V∼, per cui, se voglio produrre qualcosa per un accumulatore a bassa tensione in cui il carico diminuisce a seconda della carica, bisogna ripensare totalmente la cosa.
Il mio principale interesse è che con 8,5V∼ possa produrre almeno 10 Watt.
Non escludo per che possa adottare pure un filo più grosso.
Altre soluzioni
Rotore
Le parti in plexiglas le ho lavorate quasi tutte in modo artigianale con la principale eccezione del rotore. Per il rotore ho fatto ricorso ad un CNC di taglio lamiera funzionante a trapano. L’ho scelto perché ho avuto l’occasione di spendere poco, ma avendo constatato alcune imprecisioni, oggi consiglierei quello a laser, anche se questo comporterà spese inevitabilmente maggiori. Sulle stampanti 3D non ho informazioni in merito, ma in quanto la scelta del materiale per la stampa, la solidità del plexiglas non è un’opzione, è una necessità, quindi le plastiche morbide, nonostante siano diffuse e accessibili, sono assolutamente da evitare per non combinare disastri.
Lo scavo al centro del rotore era inizialmente pensato per inserire una rondella molto larga per stabilizzare meglio il rotore stesso, poi perché il mozzo era troppo corto e due mm di scavo hanno comunque fatto la differenza. Attualmente uno scavo così largo non è necessario.
Antivibranti L’adozione degli antivibranti viene dal problema che la maggior parte dei rotori, oltre a produrre un effetto giroscopico un po’ fastidioso, produce vibrazioni e sollecitazioni che saranno evidenti pure nella realizzazione più precisa – se non altro per gli effetti dell’autoinduzione, pure in caso che si riducano. L’adozione di sospensioni create e pensate per questo scopo sono un sicuro aiuto per eliminare, o comunque limitare fortemente, questo tipo di problemi.
Vorrei ringraziare Mauro Seria per il suggerimento e i 4 antivibranti in foto.
Supercondensatori I supercondensatori precedentemente acquistati si sono rivelati scomodi per via dei collegamenti un po’ precari e in perenne rischio di ossidazione e gli abbiamo dati via e purtroppo in quel periodo non avevo ancora pensato a questo progetto. In più, erano solo 5, mentre per quanto documentato già l’anno scorso, la loro carica ottimale è al 75-80% della tensione dichiarata. Di conseguenza, di questi 13,5 V (cioè 2,7*5) erano utilizzabili tra i 10 e 11 Volts.
Riguardo le batterie, posso cimentarmi quando le sperimentazioni con i supercondensatori saranno mature. Ma ad essere sincero non ci tengo quasi per niente: è pure vero che le batterie in commercio hanno un costo più basso, ma intanto sono di gran lunga meno ecologiche, durano 5 anni quando va bene, poi la loro efficienza è circa la metà rispetto i supercondensatori e produrre più energia in entrata che in uscita è ancora più arduo. Ringraziamo Alessandro Volta di averle scoperte, ma dopo quasi 220 anni, forse, pensare ad altro può essere una buona idea… 🙂
Penso che la mia precedente recensioneabbia in parte sfatato il mito che “caricare i supercondensatori sia facile”: lo è di certo di più rispetto alle batterie, il caricamento è sicuramente più breve a fronte di un’efficienza più elevata, cosa vera, però caricare un condensatore scarico è una situazione, nei primi istanti, molto vicina ad un corto circuito, inoltre si caricheranno presto, ma altrettanto presto si scaricano, e anche quando non vengono usate, perdono carica nel tempo. I supercondensatori sono solo più convenienti in certi contesti.
Comunque, il modello preso in considerazione sarà questo http://www.digikey.it/scripts/DkSearch/dksus.dll?Detail&itemSeq=183673402&uq=635828367789397282&DPU=submit
che ho scelto, nonostante il prezzo, per ragioni di comodità, funzionalità e sicurezza.
Montaggio
Come ho detto inizialmente, con l’eccezione del rotore, ogni pezzo è stato prodotto e montato artigianalmente. Ho raccolto decine di foto che riprendono i diversi passaggi per realizzarli. Pensando che sia troppo lungo parlarne, e forse inutile, non descrivo le fasi ma le ho raccolte in uno slideshow video (in HD), sperando che lo possiate apprezzare.
Prossimi articoli
Come suggerisce il titolo, questo è il primo di una serie di articoli, anche se le parti successive sono in programma per l’anno prossimo, penso a partire da fine gennaio.
Il prossimo articolo sarà “di fine anno”. Conto, però, di aprire con qualche aggiornamento in questione.
Questa ricerca era iniziata quasi contemporaneamente a quella precedente. Anche in questo caso, non mi sarei mai aspettato che mi avesse portato via un tempo così lungo per una questione che, inizialmente, si rivelava apparentemente facile.
Un “cesso” d’illuminazione
Questa ricerca in realtà è nata da una necessità reale. Il mio bagno ha una specchiera con le luci, spesso utilizzata per illuminare il bagno stesso, in quanto funzionava con qualche watt in meno rispetto la lampada del soffitto. Sicché ci sta da molto tempo, l’impianto elettrico si era deteriorato e non era più aggiustabile. Quindi o si doveva sostituire, oppure… ho scelto “oppure”.
La sfida All’epoca in cui la specchiera è stata prodotta (i primi anni ’90) c’erano le lampade ad incandescenza – con poche altre alternative. Oggi i sistemi di illuminazione energeticamente più convenienti sono i faretti a led, che infatti stanno conoscendo una popolarità crescente. Così ho deciso di confrontare una lampada a led che illumina convenzionalmente, con due o più lampade led che, con minore o pari consumo, siano in grado di illuminare con una quantità di luce più o meno uguale a quella della singola lampada. Impossibile? No, solo ci vuole un po’ di pazienza. A questo proposito vorrei ringraziare anche l’elettronico Roberto Gozzani, appassionato ed esperto di led, che mi ha dato suggerimenti preziosi ed ovviamente il mio maestro-collaboratore Franco Montefuscoli.
Dimmi qualcosa che non so
Per comprendere il motivo per cui un progetto simile è fattibile, bisogna considerare la tattica principale. Gli elettrotecnici più pratici d’illuminotecnica conoscono molto bene una caratteristica luce LED, ossia che il rendimento non è affatto lineare, ma è logaritmico, il che significa, in linea di principio, che più si alza la tensione e meno è rilevante l’aumento della luce prodotta.Nei LED, quindi, metà consumo, in termini di watt, in linea di principio non corrisponde necessariamente a metà quantità di luce. Il problema tuttavia è che il faretto non è costituito dal solo led, ma contiene all’interno anche una circuiteria che complica un po’ le cose. Rimane il fatto che diminuendo la tensione, come in molti dispositivi, diminuisce anche l’assorbimento (Ampere) e questo fa si che il consumo complessivo diminuisca più velocemente.
Riprogetto da tre Nell’adattare il nuovo sistema al vecchio box, ho trovato come soluzione di poggiare le lampade sul plexiglas sporgente, fissato al box stesso, quanto basta affinché il fascio luminoso non incontri alcun ostacolo. La cosa può sembrare azzardata, ma non lo è, dal momento che le lampade led, e solo le lampade led, sviluppano poco calore anche dopo ore di utilizzo. Non avrei mai fatto una cosa del genere con un tipo diverso di faretto, e infatti con un tipo diverso di lampada sarebbe rischioso. Il plexiglas, spesso 8mm di piano e 5mm nella circonferenza ha una massa sufficiente per assorbire (il poco) calore scaldandosi pochissimo (anche nei mesi estivi, e questa estate 2015 sta diventando, da questo punto di vista, un test efficace) con il metallo della specchiera che contribuisce ulteriormente ad assorbire il calore. Dopo avere verificato per alcuni mesi, non ho riscontrato nessuna alterazione nel plexiglas così spesso.
Dal momento che le lampade led tendono a fare buona luce, ma concentrata al centro, ho posto sotto la superficie d’appoggio anche della carta forno per imitare l’effetto del vetro fumé e creare un effetto di luce diffusa e rendere meno fastidioso lo spot luminoso. La carta forno, faccio notare, è costruita apposta per resistere a temperature di gran lunga più alte – il che lo rende un materiale ideale per questa finalità. Attualmente il risultato è, anche in questo caso, nessun deterioramento del materiale.
Le sezioni di tubo contengono le lampade che così si possono inserire ed estrarre con estrema facilità. Questo mi è molto utile sia a fini sperimentali sia, cessata la sperimentazione, per orientare una o più luci in modo differente quando lo riterrò necessario. Altresì ho anche isolato a sufficienza i contatti per annullare il pericolo di cortocircuiti o peggio ancora di folgorazioni. Qualora l’Italiano Medio non se ne sia ancora accorto, bisogna prendere il necessario numero di precauzioni sia nel montarlo, sia per rendere l’impianto sicuro e affidabile – e non solo a voi ma a tutti quelli che con voi vivono.
In quanto all’accensione ho optato per questa soluzione: l’accensione convenzionale, con sola la lampada al centro, e l’accensione multilampada, che è poi il fine di questa ricerca, il tutto ottenibile con uno switch a due uscite+OFF, utile sia per comodità, sia per la sperimentazione.
La strada sbagliata
L’amperometro, nonostante la differenza di luce, sembra segnare quasi lo stesso valore in mA alternati. Un successo… o qualcosa non quadra? La seconda che hai detto…
La prima cosa che ho cercato di fare è stato l’esperimento con le lampade a led da 220V. Il che mi ha dato un successo apparente quasi immediato. In altre parole, invece di un collegamento convenzionale in parallelo, ho collegato 3 lampade in serie da 5W, che in serie davano più luce di una lampada singola e il cui amperometro dava un consumo di 30mA, cioè di 6,6 VA contro i 15 che sarebbero risultati col collegamento in parallelo. Impressionante, e soprattutto molto vantaggioso apparentemente… Tuttavia, la trovata nascondeva tre inconvenienti:
– le lampade si scaldavano ugualmente
– si illuminavano in modo diseguale
– due di queste mostravano uno sfarfallio simile alle vecchie luci al neon.
Tutto ciò non testimonia affatto un funzionamento stabile e affidabile e suggerisce che a lungo andare, invece di costituire un risparmio, si potrebbero accorciare la durata dei faretti stessi. E visto che sono piuttosto cari (30 euro ciascuno, ebbene si!) conviene ancora meno.
Il seguente video mostra a confronto, rallentato 10 volte, le due modalità. No, così non può andare.
Di seguito, ecco lo schema utilizzato
La spiegazione risiede nel fatto che, come detto prima, ogni lampada non contiene solo dei led, ma anche una circuiteria per gestirla correttamente. Nel caso delle lampade a 220V alternata, queste contengono un vero e proprio alimentatore. E mettere in serie tre alimentatori, interni ai faretti, ha portato a gestire l’energia in modo errato, nonostante una buona apparenza, mettendo alcuni componenti (di sicuro i condensatori) sotto stress, col risultato di una quasi certa minore longevità.
La questione delle misurazioni L’errore dell’amperometro è stato tale da spingerci a procurarci, anche e soprattutto dietro consiglio di Roberto, un wattmetro che includesse il calcolo del cos-fi. In altre parole, il carico, che nel nostro caso sono le lampade, oltre al consumo di energia, creano uno sfasamento della sinusoide della corrente alternata tale da creare una frenata del generatore al quale siamo collegati. Tale misuratore dello sfasamento è chiamato appunto Fasometro o Cosfimetro. Il wattometro, almeno il modello che abbiamo preso, include appunto sia la misura dei watt, che del cos-fi. È uno strumento consigliabile anche nella vita quotidiana, per rendersi conto dei reali consumi dei singoli apparecchi. Di suo, il cosfimetro ritorna un valore reale compreso fra 0 e 1 ed espresso in centesimi, chiamato Fattore di Potenza. Tanto più il fattore di potenza è basso, tanto lo spostamento della fase è tale da gravare sul generatore, fino a raggiungere lo 0 che costituisce il massimo della frenata e, di conseguenza, anche il massimo del consumo possibile per un apparecchio. In altre parole il “Power Factor” esprime con termini differenti una vecchia conoscenza di questo blog, cioè la forza elettromotrice inversa. In base a questo valore, e all’amperaggio assorbito ed alla tensione, il wattmetro calcola poi quanto il consumo di energia elettrica realmente grava sul generatore – e, per essere ancora più espliciti, quanto graverà realmente sulla vostra bolletta di casa. Per tanto, un misuratore del genere è un “must” per capire i consumi reali, anche se sarà utile per voi – mentre l’azienda elettrica non lo riconosce come prova. L’unica pecca di questo modello, è un display un po’ evanescente e non retroilluminato, che mi ha obbligato a riprenderlo in angolazioni specifiche per rendere chiara la lettura. Mi sono anche reso conto, a lungo andare, che mi ha dato pure qualche piccola variazione a parità di condizioni, il che ha reso tutto un po’ più difficile da valutare, ma di questo ne parlerò più avanti.
Qui possiamo vedere il wattmetro in azione a sinistra con un solo faretto, a destra con tutti e tre i faretti da 220V attivi. Si può notare come il tester che segnava 30mA diceva la verità sulle tre lampade, tuttavia sul singolo faretto non riportava cifre reali. Il numero grande in alto segna i watt, in basso a sinistra, invece viene riportato il fattore di potenza.
Un secondo misuratore abbastanza gradito doveva essere pure il Luxmetro, cioè il misuratore di luce, tipicamente espresso in Lux o in Lumen. Tuttavia, non intendendo ritornare (e spendere) ulteriormente su queste sperimentazioni, non l’ho preso, limitandomi al un confronto fotografico ricorrendo ad una esposizione fissa allo scatto e costante per tutte le foto da confrontare.
La strada giusta
L’adozione delle lampade AC è stata piuttosto infelice, nonostante l’averlo montato al bagno non mi abbia mai portato, finora, particolari inconvenienti, come surriscaldamenti particolari o altro. Ma questo punto, anche dietro consiglio di Franco Montefuscoli, ho provato con i faretti a corrente continua a 12V.
Anche nel caso delle lampade CC ogni lampada contiene al suo interno un circuito, ma è più semplice, non dovendo adattare la tensione alternata della rete a 220V ai pochi volts e ampere in continua richiesti ai led per funzionare. Proprio questa caratteristica, tuttavia, rende necessario un alimentatore esterno, ma è sufficiente un solo alimentatore per tutti i faretti. L’alimentatore scelto è di tipo switching a 6, 7.5, 9 e 12V. La corrente di 1A è sicuramente sovradimensionato rispetto alle necessità, ma l’ho scelto per evitare che si scaldasse anche dopo un utilizzo prolungato.
Il passaggio alle lampade 12V cc
Le lampade con cui ho fatto i test. La seconda e la terza sono a led singolo. La terza, oltre ad avere dato i risultati migliori, è dimmerabile ed ha già a disposizione un vetro fumé. L’ho per tanto scelta come la migliore.
Nel passaggio tra lampade a corrente alternata e quelle a corrente continua, la prima cosa che balza all’occhio è il prezzo. Col costo di una sola lampada alternata, ce se ne possono comperare due, con portalampada a seguito, filo elettrico e ce ne avanza per l’alimentatore. In effetti se una lampada AC mi è costata 30 euro e una CC costa fra i 6 e gli 8 euro, così i calcoli si fanno abbastanza presto. Sfortunatamente mi è servito di più, dovendo provare più modelli – per fortuna con costi molto più accessibili. Tuttavia ho dovuto tenere conto che 3 faretti in serie non sono pensabili, in quanto ognuno avrebbe solo 4V.
E anzi, con l’alimentatore, a 6V l’accensione delle lampade testate non hanno dato risultati. I LED, di loro, sono ampiamente capaci di accendersi a questa tensione, credo, più che altro che sia la resistenza della circuiteria interna che non concede un funzionamento ad di sotto della soglia di una certa tensione. Con l’alimentatore switching, avendo a disposizione 6V, 7.5V, 9V e 12V, ho potuto constatare qualche risultato a 7.5, mentre a 9V il rendimento è molto più vicino ai 12V, cioè la tensione di lavoro con cui le lampade sono commercializzate. Purtroppo non posso metterle in serie in quanto 9+9V richiederebbero 18V. Posso però lasciare l’alimentatore a 9V e metterle in parallelo. Nel confronto con i vari faretti CC, quelli della foto, a funzionare meglio a 9V sono stati quelli ad un solo LED. Nel confronto, ha vinto quello a vetro fumé (e dimmerabile, come altra caratteristica).
Altro bel risultato è stato lo scarsissimo aumento di calore del faretto dopo diverse ore di funzionamento.
L’uso dei condensatori in parallelo
Un altro consiglio di Gozzani è stato, per quanto riguarda le lampade CC in condizioni di sottoalimentazione, di utilizzare dei condensatori da 10.000 mF in parallelo. Questo espediente, da una parte, stabilizza ancora di più la circuiteria delle lampade, che non essendo costruite per funzionare a queste condizioni potrebbero avere qualche componente sotto stress, nonostante non sia minimamente paragonabile alla sperimentazione con la corrente alternata, dall’altra potrebbe diminuire il carico e quindi migliorare i valori del cosfimetro.
Il wattmetro/cosfimetro ha dato risultati soggetti a qualche variazione, ma queste variazioni andavano dai 2.6W ai 3.6W, con una luce paragonabile a quella da 4.5W dichiarati (in realtà 5.6W) sebbene leggermente inferiore. Per quanto la forbice di un watt non sia da trascurare, il risultato si è rivelato accettabile.
Detto chiaramente, avrei preferito che consumasse pure qualcosa in più ma che facesse una luce molto più simile a quella a 12V, cosa che, a mio avviso si poteva ottenere alzando la tensione anche solo a 9,2 o 9,3V, oppure aggiungendo una terza lampada. Ma in rapporto di quello che volevo ottenere, questa sperimentazione mi è durata e costata anche troppo…
Installazione finale/definitiva
Per quanto riguarda i condensatori, li ho messi collegati con dei bulloni da 6mm in acciaio inox, per garantire che non si arrugginiscano in un contesto in cui l’umidità è quasi sempre superiore al resto della casa. Anche in questo caso, il surriscaldamento è estremamente improbabile, sia per la tensione dei condensatori di 16V, quasi il doppio rispetto la reale necessità, sia per la costruzione in grado di reggere ben altro. Come ulteriore precauzione, li ho boxati in una scatola successivamente sigillata.
Dal momento che le lampade da 12V hanno già il vetrino opaco, ho tolto la carta opaca alle rispettive installazioni, lasciandola alla sola lampada al centro.
La lampada al centro l’ho lasciata in alternata, sia perché non volevo buttare via delle lampade che mi sono costate, sia perché ne ho comperate abbastanza, per cui, vuoi per l’alternanza d’uso con quelle di bassa tensione, vuoi per la quantità, ma credo proprio che mi basteranno per un bel po’ di tempo. 😀
L’illuminazione con una e con due lampade, con a fianco i rispettivi consumi. Innanzitutto, come già detto la variazione delle due lampade andava tra i 2.6W e i 3.6W. Per quanto riguarda le foto delle lampade, ho utilizzato la stessa esposizione.
Schema dell’installazione finale
Possibili applicazioni Abbiamo visto che il risultato può portare a qualche dubbio lecito. Se mi fosse stato dimostrato con solide motivazioni che così non fosse, non mi sorprenderebbe più di tanto.
Sono convinto che, se si migliorasse solo di poco, non solo potrebbe essere di maggiore economia nelle case, ma si potrebbe utilizzare un’analoga tecnica nell’illuminazione condominiale, in cui le spese condominiali per la luce e per cambiare le lampade guaste sono spese e noia allo stato puro, nell’illuminazione esterna/pubblica per gli stessi motivi, nei trasporti dove solidità, durata e qualche watt in meno potrebbero essere fattori assai graditi.
E se non vi va bene…
A questo punto, qualcuno mi potrebbe chiedere: esistono già sistemi di regolazione luminosa che sono in commercio da un pezzo. Non a caso, le due lampade che ho adottato sono dimmerabili. Nessuno mette in dubbio che con i dimmer o i PWM si possano regolare la luminosità delle lampade. Ma nessuna di queste utilizza corrente continua. Non so inoltre se in termini di consumo energetico siano altrettanto convenienti e possano altrettanto aiutare a prolungare la durata (o invece, come suggeriscono i picchi di tensione, ad abbreviarla) il tutto a parità di luce. Di certo posso anche posizionare le due lampade (o perché non 3 a questo punto) in punti diversi della stanza.
Anche la replica, in caso di dubbi, non dovrebbe essere impossibile. Non siete certo costretti a fare tutto il percorso che ho fatto io, ma potete partire da dove sono arrivato: essenzialente si tratta di 2 lampade cc 5W dimmerabili con un solo led, 4 condensatori in parallelo da 10.000mF, alimentatore switching e wattmetro/cosfimetro come misuratori.
Rimane, come ho detto prima, un fondo di dubbio, al massimo, per le misurazioni col wattmetro/cosfimetro in cui ho visto variare leggermente risultato, in quanto è noto che sono soggetti a qualche approssimazione – anche se sempre meno ingannevoli dell’amperometro di inizio esperimento. Ma dubito fortemente che si possa addirittura sbagliare di più watt. Male che vada, posso sempre dire che c’è più sperimentazione nel mio cesso che in tante discussioni sul web… 😀